«La valle del Ticino è stata il mio approdo fantastico negli anni della giovinezza: con i cercatori d’oro e i raccoglitori di pietre bianche; con i barconi di ferro a fondo piatto e con i venditori ambulanti, i bracconieri…»: Sebastiano Vassalli torna ragazzo nelle prime pagine di un libro che esce alla vigilia dei settant’anni. è un’autobiografia forte e fuori dall’ordinario fin dal titolo, Un nulla pieno di storie, com’è il mondo che mette al centro di molte sue opere, da L’oro del mondo in riva al “fiume azzurro” fino al più recente Le due chiese nel cuore della Grande Guerra e della Valsesia.

La vita dello scrittore, finora da lui stesso celata il più possibile, diventa quasi un romanzo parallelo, inedito e molto novarese, che illumina la coscienza di questo intellettuale italiano tra i più rigorosi in ambito letterario.

«Sono nato nell’ottobre del 1941, in una città, Genova, e in un Paese, l’Italia, che era in guerra da diciotto mesi. Più che delle persone, mi considero figlio della guerra»: così l’autore mostra in controluce la spessa filigrana della sua carta d’identità, lacerata in molti punti. A Giovanni Tesio, cui si deve la cura dell’intervista che fa da ossatura al nuovo volume, confessa: «Nella prima parte della mia vita non c’è stato niente che assomigliasse a una vera famiglia. Sono padre e madre di me stesso: come un fungo». E del genitore «di trentatré anni, senza arte né parte» aggiunge che si liberò del figlio rifilandolo a due sue sorelle che vivevano a Novara, zitelle «per destino e per vocazione» ma diverse dalle amorose sorelle Materassi di Palazzeschi: «Mi tenevano in deposito come avrebbero potuto tenere il gatto o il canarino del vicino di casa, e mio padre poi ricambiava il favore portandogli un po’ di farina, o dell’olio, o dei biscotti». Così il piccolo Sebastiano si trova già nei primi anni di esistenza all’ombra della Cupola antonelliana, dove nel giorno del suo terzo compleanno, il 24 ottobre 1944, assiste all’eccidio di piazza Cavour «da una finestra del terzo piano di una casa poco distante… ascoltando i rumori (le grida, gli ordini, la scarica dei fucili)».

Le prime vere rivelazioni arrivano con la scuola: non le elementari (il primo anno frequentato dalle suore «perché avevo soltanto cinque anni e nella scuola pubblica non mi avrebbero preso») ma il liceo: «Sono gli anni in cui ho scoperto due cose che sarebbero diventate fondamentali nella mia vita: la letteratura e la natura». Questo «studente mediocre ma lettore formidabile», di pomeriggio, appena gli è possibile, ama vagabondare: «Avevo una vecchia bicicletta e con quella mi spostavo sulle strade bianche di polvere della campagna novarese e anche sulle strade asfaltate: che all’epoca si chiamavano ancora “carrozzabili” ed erano percorse dalle automobili d’allora, piuttosto rare. Dalle Seicento e dalle Millecento Fiat… La guerra degli uomini, che aveva portato tanti lutti e tante devastazioni nelle città, aveva però ridato fiato e vigore alla natura». E non solo Ticino: anche un fiume più modesto come l’Agogna e il mondo d’acque della pianura ai piedi del Monte Rosa «avevano ancora un loro fascino che poi in gran parte è andato perduto, a causa dell’industrializzazione dell’agricoltura e delle trasformazioni del paesaggio e del clima».

A vent’anni Sebastiano si sforza di «odiare Novara, la città “quasi brutta” e “priva di lusinghe” come la signorina Felicita di Gozzano. Non ci sono riuscito e ci sono rimasto per tutta la vita». Così cresce e fa quello che capita (aiuto imbianchino, fattorino, facchino, aiuto bibliotecario, poi anche professore supplente) per mantenersi agli studi universitari. Alla Statale ha forse la rivelazione della stoffa di scrittore durante l’esame con un grande maestro di critica letteraria, Mario Fubini: «La prova consisteva nell’analisi stilistica e nell’attribuzione di un sonetto che ci era stato dettato senza il nome dell’autore. Sbagliai di un secolo e mi diede ventisette: il voto più alto di quella sessione di esami! All’orale, dopo avere sfogliato il mio componimento, commentò: “È tutto sbagliato, ma è così convincente!”»

In quegli anni sessanta («anni straordinari e straordinariamente inconcludenti») le sue idee sono ancora confuse e per qualche anno crede di dover fare il pittore. «Perché ho incominciato a dipingere e poi a scrivere? È stato un fatto, come dire?, spontaneo. A vent’anni mi mancava qualcosa». Sono gli anni della neoavanguardia, alla quale partecipa con alcune prose sperimentali travasando nella pagina, attraverso un furore linguistico, le inquietudini politiche di quegli anni. Abitare il vento del 1980 segna un distacco e una svolta: il protagonista si sente incapace di cambiare il mondo con metodi trasgressivi e rivoluzionari (e poi si chiede: contro chi?). Il quarantenne scrittore cerca quindi nuovi personaggi o, meglio, una letteratura pura e in questo senso è per lui emblematico il poeta Dino Campana, riproposto nella Notte della cometa, la prima opera matura; intanto cerca una dimensione esistenziale anch’essa pura: come la fanciullezza, al centro della ricerca delle origini della società odierna nel romanzo L’oro del mondo ambientato nel dopoguerra; «da allora credo di avere fatto alcune cose buone e anche ottime, che però non hanno avuto un successo clamoroso e non possono averlo perché l’umanità è un mare dove i movimenti avvengono in superficie. Più si scende in profondità, più tutto sembra (ma non è) immobile».

L’investigazione letteraria delle radici e dei segni di un passato che illumini l’inquietudine del presente e ricostruisca il carattere nazionale degli italiani approda prima al Seicento di Manzoni con La chimera, il successo editoriale del 1990, poi al Settecento di Marco e Mattio, quindi all’Ottocento e agli inizi del Novecento con Il Cigno nel 1993 e successivamente con Cuore di pietra, ricreando un’epopea della storia democratica dell’unità d’Italia e fissando come protagonista casa Bossi, dove Vassalli vive quindici anni con la mia prima moglie, prima della sua scomparsa per un male incurabile («c’erano grandi sale e soffitti affrescati. L’unico vero problema era quello di riscaldarla durante l’inverno; ma ero giovane, e qualche disagio non mi pesava; nel 1982 ho dovuto andarmene perché le tubature scoppiavano, gli infissi cadevano a pezzi e nessuno provvedeva alle riparazioni. In più, la casa aveva incominciato a popolarsi di presenze poco rassicuranti»).

Ora vive alla Marangana, nella ex casa parrocchiale di una grande cascina della Bassa novarese, in mezzo alle risaie, «una sorta di lavagna su cui il tempo ha scritto infinite storie e poi subito le ha cancellate per scriverne delle altre». L’autore della Chimera ne ha strappate alcune dall’oblìo – come Antonia accusata di stregoneria o Ansimino che ha l’«intelligenza nelle mani» in Le due chiese –: dopotutto è un cercatore di storie, che racconta scrivendole a mano, senza computer («consumando molta carta», come disse una volta Marguerite Yourcenar): «Un mestiere antico come il mondo, che risponde a una necessità degli esseri umani, a un loro bisogno fondamentale: quello di raccontarsi». Atto che a Sebastiano Vassalli riesce bene anche nel libro-intervista in uscita, in cui parla poi di religione e politica («L’Italia è due Paesi in uno. C’è il Paese Legale, che è sotto gli occhi di tutti, e c’è il Paese Sommerso, illegale, che tutti più o meno fanno finta di non vedere»), con un capitolo dedicato al «signor B.» («se non ci fosse stato lui, sarebbe arrivato un altro con un’altra iniziale, o forse addirittura con la stessa iniziale»).

Le sue storie sono pagliuzze d’oro scovate fra i tanti ciottoli in riva ai fiumi della Terra d’acque e raccolte nella sua casa alla Marangana, luogo della memoria fin dalle ceramiche murate sulla facciata o dalle sculture animalesche di Giovanni Tamburelli: frammenti di storie dimenticate e recuperate da uno scrittore che anche per questo è, egli stesso con i suoi libri, un patrimonio prezioso e vivente dell’identità della nostra «grande pianura davanti alle montagne». Qui «ci sono state invasioni, sommosse, guerre; dove si è consumata, per secoli, la tragedia degli schiavi delle risaie; dove l’opera dell’uomo ha modificato il paesaggio e perfino il clima e tutto è avvenuto in una sorta di smemoratezza, senza nessuno, o quasi, che lo raccontasse…». Ci voleva qualcuno che lo facesse: un cercatore d’oro, un narratore di storie.

(pubblicato in “Novara è”, settembre 2010)

Sebastiano Vassalli, Giovanni Tesio, Un nulla pieno di storie. Ricordi e considerazioni di un viaggiatore nel tempo, pp. 148, con illustrazioni, Interlinea 2010, euro 15. Leggi la scheda editoriale.

Nell’illustrazione: Sebastiano Vassalli ritratto da Giuliano Della Casa.



 

Letteratura.it