Qui sotto trascriviamo il testo della Presentazione di Marziano Guglielminetti
PRESENTAZIONE
La bibliografia degli scritti di e su Clemente Rebora, che ho il piacere d’introdurre, si distingue subito, per quanto concerne le vicende di questo poeta e della sua poesia nella storia letteraria del ventesimo secolo, perché gli autori hanno voluto raggrupparla in due categorie non prive di una loro solennità: ante mortem, si dice la prima, post mortem, la seconda. Ma subito, sotto la prima insegna, sembra doversi collocare una cesura, tra il capolavoro di Rebora che segna nel ’13 il suo esordio, l’anno dei Frammenti lirici, e i successivi Canti anonimi, del ’22, di minore importanza ma non per questo privi di una loro individualità, degna se non altro di qualche interrogativo. Ad esempio, non poteva essere sin da allora supponibile che nascondevano l’esperienza individuale della guerra appena conclusa, e tuttavia affidata a poesie e prose di grande intensità, espressionistiche, se si vuole? Per di più, leggibili su riviste quali “La Voce “ e “La Riviera Ligure”, “La Brigata” e “La Raccolta”. Le notizie bibliografiche, messe a disposizione da Roberto Cicala e Valerio Rossi, ci confermano che nel caso dell’opera prima intervennero con giudizi entusiastici scrittori del rango di Boine e di Monteverdi, probabilmente decisivi nel convincere Papini e Prezzolini a far inserire il nome di Rebora nell’antologia dei Poeti d’oggi (1920): non certo un’antologia di tendenza, ma se mai di valori certi, fra tradizione e innovazione. Nel caso dell’opera seconda praticamente non si fece vivo alcuno e Rebora rischiò di divenire un personaggio di qualche fascino intellettuale e sentimentale, complici, al riguardo, il Diario sentimentale dal luglio 1914 al maggio 1915 di Panzini e il romanzo Il frustino di Sibilla Aleramo, che nel ’32 prevede la trasfigurazione del nostro in Emanuele Orengo, ma non necessariamente in un poeta della prima generazione avanguardistica. Sono gli anni, questi del venti e del trenta, dove la liquidazione delle avanguardie è condotta senza pietà da destra e da sinistra, e non è un caso che il meno riconosciuto dei suoi esponenti, Piero Gobetti, preferisca discorrere di Rebora cultore del teatro e delle novelle di Andreev, quasi fosse questo, e questo solo, il loro punto di contatto. Montale soltanto, sulla “Fiera Letteraria” del ’28, sembra non dimenticarsi del maggior Rebora, unito a Boine e Gozzano (forse parlava anche un po’ per sé ) nel nome di un “impegno severo” che varrà nel tempo. Poi, con l’ingresso nell’ordine rosminiano, ed è quasi un paradosso, il poeta fattosi sacerdote trova in un discepolo di quell’ordine, che è destinato a divenire il maggior critico della poesia del Novecento, dico Gianfranco Contini (e siamo in terra manzoniana!), colui che lo traghetta, nella non prevista compagnia di Campana, nel terreno non propriamente incline agli innesti degli avanguardisti della prima generazione, il terreno dell’ermetismo fiorentino. Carlo Bo non vi si oppone, anzi, sin dal ’40, si fa, per decenni di là a venire, lettore vigile e appassionato; ma bisogna attendere la prima e tuttora insostituibile edizione delle Poesie del ’47, curata dal fratello Piero, anglista di professione, perché si muova De Robertis, e poi Parronchi, e poi Macrí, e poi Bigongiari, e poi Luzi. Il loro ricupero non impedisce ad Anceschi di discorrere di Rebora, nel ’52, entro la famosa e forse arbitraria, ma utile, se non necessaria, “linea lombarda”, per poi consacrarlo nella seconda grande antologia non di tendenza del secolo scorso, quella curata con Antonielli nel ’53 per la Vallecchi. Un po’ a sé si collocano, fra i consentanei, Betocchi, però fin dall’anteguerra, e poi Giovanni Giudici, con il ricordo di una visita al poeta infermo, Giorgio Caproni, Franco Fortini: il tutto dagli anni cinquanta in avanti. Il loro interesse per Rebora, da colleghi direi, in attività di servizio, ha un senso speciale, quando coinvolge anche la vita estrema e l’estrema poesia di Rebora, religiosa a pieno titolo (personalmente ricordo che chi mi legò a Rebora per sempre, proprio in quegli anni ultimi, soleva fare il nome, non d’occasione o di convenienza, di Gerard Manley Hopkins: parlo di Giovanni Getto, che di anime in versi ha parlato come pochi nel pieno Novecento).
La bibliografia apre le porte alla storia della critica, e bisogna dare atto ai curatori del presente volume di avere provveduto all’importante bisogna allestendo, nella prima sezione del libro che comprende poco meno di duecento voci, un catalogo che vorremmo dire abbastanza eloquente, soltanto che si ponga mente alla lunga battaglia che ha visto la poesia novecentesca collocarsi fra avanguardia e tradizione, quale in specie si è venuta configurando nel palese tentativo di limitare l’area della prima a favore della seconda, ovvero, per far dei nomi, di restringere e comprimere l’area crepuscolare, vociana e futurista, per estendere e rinfoltire l’area ermetica. Lo so che sono partizioni divenute col tempo scolastiche, ma qualche utilità la conservano, tanto più che ad imporle è stata proprio la stagione critica qui etichettata post mortem, e che va dal ’57 ai nostri giorni. L’anno della morte, contrassegnato da moltissimi necrologi, segna la fuoruscita di Rebora dal circolo esclusivamente letterario. D’ora in avanti il personaggio, e soprattutto il rosminiano, il sacerdote, l’uomo di fede si accampano con sempre maggiore evidenza nella considerazione del poeta. Decisive appaiono le lettere, curate da Margherita Marchione, che lavora accanto a Prezzolini, testimone sopravvissuto della stagione vociana, cui sarà bene associare il nome di Daria Banfi Malaguzzi Valeri, per capire qualcosa di più della formazione di Rebora nella Milano di Banfi e Monteverdi (e valga pure, accanto, quello della germanista Lavinia Mazzucchetti). La biografia spirituale di Muratore del 1997, preceduta dai documenti sul Rebora “professore”, riuniti da Cicala cinque anni prima, rappresenta il primo tentativo di raccontare senza strappi l’intera esperienza di Rebora. In quest’ambito di rinnovato interesse si collocano gli atti dei convegni di Rovereto del ’91, della Sacra di San Michele del ’93 e il numero unico di “Microprovincia” del ’92. Sul piano filologico sono da segnalarsi, ad inizio del ventunesimo secolo, le concordanze di Savoca e Paino del 200l e l’edizione commentata del Curriculum vitae, dovuta a Cicala e Mussini, introdotta da Carlo Carena. Sono iniziative che trovano, per lo più, nel territorio lombardo, fra Milano e Novara, una forte propulsione, alle quali fa da riscontro l’interesse che alla poesia di Rebora hanno nel frattempo dimostrato Orelli e Raboni, Cucchi e Valduga, Ramella Bagneri e Doninelli, Gilberto Isella infine, senza per questo scordare Luca Canali, Giuseppe Conte e Gianni D’Elia. È un segno molto forte, questo, dell’attualità vera di Rebora, da affiancarsi al continuo interesse dimostratogli da critici di diversa formazione, anche i meno attenti alla sua spiritualità.
La presente bibliografia consente gli itinerari suggeriti, e restituisce viva la presenza del poeta scomparso poco meno di mezzo secolo fa.
Marziano Guglielminetti
(Presentazione a R. Cicala, V. Rossi, Bibliografia reboriana, Olschki, Firenze 2002.
La citazione è consentita indicando la fonte)
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